PAOLA MISCHIATTI
fotografa
Nata a Lendinara nel 1975.
Mi sono avvicinata alla fotografia casualmente, notando quanto una mia foto”sbagliata” perché mossa in realtà era molto affascinante, dandomi quel senso di continuità e racconto di una storia, di quarta dimensione.
Decido quindi di intraprendere questo “studio di me stessa” in foto raccontando le mie storie di tutti i giorni, maternità rabbia euforia dolore e rinascita.
Molti miei concept sono al servizio di mostre collettive di valenza sociale e ciò mi rendono molto orgogliosa, la fotografi a non come motivo per elevarsi al di sopra degli altri ma come mezzo di comunicazione e denuncia… o per dare speranza.
Paola Mischiatti ci illustra l’immagine di una nudità femminile fragile, di una corporeità reale e drammatica, sulla quale è impressa come un tatuaggio, l’esperienza, un cammino di individuazione che abbandona quella percezione del Sé come espressione della sua avvenenza, per sostituirla con una come fonte di vita attraverso la maternità, di energia attraverso le forze interiori.
Lo scatto che diventa sintesi di queste percezioni dell’artista è quello dove una maschera nella sua rigidità sembra racchiudere ed imprigionare quella vera essenza, negare quel volo libero che si avverte nelle altre immagini dove l’assenza di cornici, il protagonismo del bianco, quella visione eterea ed evanescente conduce ad una percezione altra del femminile, che fa da contro altare a quella omologata.
La sua gestione tonale e lo stile compositivo e tecnico delle immagini, trasmettono e catturano quelle percezioni di fondo dell’individuo, riuscendo superando al forma a creare figure quasi iconiche che evocano una femminilità che si sottrae a quell’uso a volte spregiudicato del corpo come arma seduttiva, e senza cadere in censure e moralismi riportare l’attenzione a quel concetto di donna dove la sintesi di corpo e fisicità cammina pari passo, in un equilibrio che ha radici in una personalità che ha trovato la sua sintesi.
“Storpi in maniera poetica il corpo umano… non chirurgicamente ma con “dolorosa fantasia” ( Vincenzo Galluccio)
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