Un’Opera Conclusa che diventa Aperta
Le statue ferme, immobili e fredde.
È questo stato di immobilità che da sempre nel visitare i musei mi rattristava.
Le sale museali, che danno questa sensazione di distanza e di freddezza, tolgono alle opere quella vita che avevano negli ambienti per cui erano state pensate: parchi, ville, altari, luoghi dove dialogavano tra loro e con il sentire di chi le aveva volute, partecipando alla vita stessa, emancipandosi da una dimensione di fruizione meramente estetica.
Contrariamente, oggi sembrano congelate in contesti fuori luogo.
La loro bellezza integrata alle emozioni suscitate all’autore e al fruitore originario, mi fa percepire le stesse pulsioni e lo stesso sentimento che emanava l’opera nel suo “momento” storico.
Volevo così far riemergere quella vitalità che si sprigionava dallo scultore alla statua, dalla statua a chi l’aveva commissionata, a chi la guardava.
Oggi finalmente posso far rivivere quei sentimenti, quelle pulsioni, quegli stati d’animo.
Non proprio gli stessi, quelli di oltre due millenni fa, ma sono sentimenti e vibrazioni generati e percepiti dalla cultura del XXI secolo.
Per ottenere questa rinascita, utilizzo l’ultimo concetto fotografico: il FoTotempismo da me ideato.
Come lo scultore, oggi o secoli fa, dà “vita” a una pietra, all’argilla, a un legno, come pure a una resina, il movimento nello spazio e nel tempo fa “rivivere” per un periodo, quello della ripresa fotografica, l’oramai immobile soggetto.
Il suo “rivivere” eterno è dato da quel momento di vita che si rinnova e si ripete ogni volta che si pone lo sguardo sull’immagine fotografica.
È con questa premessa che ho iniziato a rappresentare la vita di queste statue, fotografandole in FoTotempismo.
Nel momento che dedichiamo alla fruizione di queste immagini, espressione del concetto di “Opera Aperta”, ci immergiamo in uno stato sublime dove si percepiscono pulsioni soggettive e fantastiche, riflessioni ed emozioni personali facendo rivivere il soggetto stesso all’infinito.
–Enzo Trifolelli