Enzo Trifolelli e il FoTotempismo
Non v’è nulla al mondo che non ambisca a diventare qualcosa di più, e la fotografia di Enzo Trifolelli si pone come uno dei possibili esiti di tale aspirazione da parte dell’immagine fissata su una superficie piana.
L’autore decide infatti di prendere in carico le fatiche e la responsabilità di una sfida complessa: la formulazione di un concetto e di una tecnica di ripresa che consentano di restituire in fotografia sia l’effetto di profondità della terza dimensione spaziale che quello di scorrimento di un determinato flusso temporale.
La procedura ottica a cui approda lo studio tradisce margini di potenziale vigore comunicativo; l’autore vuole che essa consista nel movimentare nello spazio la fotocamera durante un unico intervallo di apertura dell’otturatore, e le attribuisce la denominazione precisa di Fototempismo, estendibile alla teoria che la anima.
È sì necessario che il fotografo designi un elemento della realtà visibile davanti al quale la registrazione luminosa debba svolgersi, ma non sono significanti né le misure dell’uno né la dilatazione spazio-temporale dell’altra; pertanto la libertà interpretativa è assoluta e può agire dal microscopico al macroscopico sia in termini di ampiezza che di durata.
Nemmeno è inibita la qualità del soggetto illustrato: il metodo è applicabile ai ritratti come alle vedute di luoghi, alle inquadrature di oggetti fino alle istantanee di azioni o di eventi; ciò che assume un rilievo incondizionato e irrinunciabile è soltanto l’approccio intellettuale dell’operatore nell’agire in simbiosi creativa con l’apparecchio di cui dispone.
Le immagini che compongono una prima selezione di questa serie sperimentale sono perlopiù raffigurazioni di volti umani oppure di maschere, di statue o di diverse effigi antropomorfe, affiancate a altre che si propongono invece come risultati dell’applicazione del procedimento a strutture architettoniche classiche; in ciascun caso i profili si presentano variamente traslati e si stagliano contro i toni scuri di sfondi volutamente profondi, assieme alle traiettorie luminescenti sedimentate dal gesto fototempistico.
Le scene danno l’impressione di prender vita in una sorta di mobilità discontinua, come sospesa; i contenuti emergono riconoscibili sebbene espressi indefinitamente: la loro riscrittura mediante l’invenzione dello spostamento ottico produce suggestioni capaci di trascinare l’osservatore in un vortice fascinosamente enigmatico, in tutto simile a quello di un abisso senza fine.
Materia e energia sembrano sporgersi sull’orlo di trasfigurazioni non pienamente controllabili, dove la corporeità dell’esistente si dissolve per cedere il passo alla fioritura fantastica di nuove ipotesi di connessione tra spazio e tempo e di interazione tra visione e percezione multisensoriale.
–Carlo Gallerati
Galleria Gallerati: www.galleriagallerati.it